2099

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23
Jul

[recensione] The Great Journey

E’ davvero un grande viaggio quello che ha portato Fabio Salvati, ancora una volta affiancato da Armando Basso, alla realizzazione di questo nuovo corto, presentato, con grande successo, al recente Fanta-Festival di Roma, giunto alla sua trentaseiesima edizione.

Chi segue 2099 sa che abbiamo recensito tutti i lavori del talentuoso regista. E’ quindi motivo di particolare orgoglio poter scrivere qualche breve riflessione su questa nuova opera intitolata “The Great Journey”.

Già il titolo, per pura assonanza, ci porta echi di storie passate ma sempre attuali legati alla storica testata “Journey into Mystery”, per quanto, come sempre nelle opere di Salvati, qui si parla di sf allo stato puro e non ci sono tracce di effimeri e modaioli eroi in costume.

Il corto si apre con una scena dal sapore quasi bondiano, con un satellite che inquadra in rapida successione diverse città del mondo, localizzando alcune famiglie accomunate dal lieto evento della nascita di un erede maschio.

La scena si sposta su uno di questi nuclei, la famiglia Coleman, che riceve la visita di alcuni inquietanti agenti che prelevano il piccolo dalle mani della madre, con tanto di regolare contratto di cessione evidentemente redatto già prima della nascita del bambino al quale i genitori devono, sia pure con grande riluttanza, sottostare.

Da questo momento seguiremo la crescita del piccolo Ethan, affidata ad una famiglia che sembra uscita direttamente da uno spot USA anni 50, o se preferite da un quadretto di perfetta propaganda occidentale, tanto realistica quanto inquietante.

L’educazione del giovane, fino al diciottesimo anno di età, procede tra la lettura di uno strano “libro del sapere”, la presenza oppressiva e unidirezionale di radio e TV, un addestramento paramilitare e l’assoluta assenza di contatti con l’esterno, esclusione fatta per il dialogo, virtuale e mediato da un onnipresente schermo, con una sorta di amica/fidanzatina che ha l’evidente scopo di tranquillizzare Ethan e dissipare tutti i suoi dubbi sulla strana esistenza che è costretto a condurre.

Naturalmente questo misterioso ed opprimente status quo verrà presto interrotto da un evento imprevisto che sconvolgerà la “tranquilla” esistenza del ragazzo e lo porrà di fronte alla cruda realtà.

Non posso naturalmente svelarvi tutto, ma sappiate che ci sarà il ritorno di una entità governativa già vista in “The Last Glow”, pellicola volutamente richiamata anche dal poster appeso nella stanza da letto di Ethan (e qui vi invito a recuperare il precedente lavoro di Salvati, se non lo avete ancora visionato) ed un grande messaggio di speranza.

L’opera è, a mio parere, una delle più cupe e claustrofobiche realizzate dal regista ma, al tempo stesso, contiene un finale dove il cambio di ambiente, l’uso della luce e degli spazi aperti, lasciano nello spettatore la sensazione, in parte rassicurante, che non tutto sia perduto in questo mondo.

I temi sono quelli cari a tutte le opere fin qui viste, dal disegno di una società oppressa ed opprimente all’uso deviato e distorto dei media, dalla paura dell’altro, del diverso, fino alla spersonalizzazione dell’individuo, che diventa mero strumento in mano al potere di turno.

Tutto questo però, espresso con una sicurezza dei mezzi narrativi e di ripresa che ancora una volta ci regala un'opera di piena maturità, alla stregua del precedente “The Last Glow”.

Penso alla lunga sequenza lungo i corridoi, a metà film, che mi ha ricordato la stessa maestria del grande Stanley Kubrick in “Shining” o  alle scene del piccolo Ethan che ascolta la radio o guarda la TV, che riportano dritte  ad “Alien Fear” altro corto di qualche anno fa, 2007 se la memoria non mi inganna, di Salvati.

Una nota doverosa sugli attori, con particolare riguardo al protagonista, perfettamente in parte nelle diverse fasi della sua travagliata storia e alla coppia di genitori “adottivi”, con quel mix di comportamenti familiari ed inquietantemente alieni resi con grande maestria.

Una menzione speciale va alla colonna sonora di Armando Basso, che qui raggiunge i limiti della perfezione, facendo da giusto e vigoroso contrappunto ad ogni scena. Particolarmente riuscita è anche la scelta del brano “You are my sunshine” dolcemente cantato dalla madre naturale di Ethan come ninna nanna, che assume un tono cupo e sinistro cantilenato dalla madre adottiva lungo le scene del film.

Un'opera da guardare e riguardare, che regala ad ogni visione nuovi particolari e nuove chiavi di lettura e che ci lascia la voglia di andare avanti, di guardare al futuro e di attendere, con malcelata impazienza, i prossimi lavori della coppia Salvati-Basso.

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Ultimo aggiornamento Sabato 23 Luglio 2016 15:26