Qualche lettore ricorderà che avevo usato un titolo molto simile in passato per trattare di un genere poco frequentato su queste pagine, l’horror, e, perché no, anche il thriller, come scusa per parlare di film che, magari, non mi avevano pienamente convinto ma nei quali avevo trovato una o più scene che, da sole, mi avevano convinto che la visione era valsa la pena.
Come intuirete oggi parliamo di una pellicola del Maestro Dario Argento, approfittando anche del suo prossimo ritorno nelle sale, di cui dirò in separata sede.
E sono certo che le pellicole di Argento non possano che entrare di diritto nel fantastico, nella sua accezione più ampia.
In questa sede non voglio in alcun modo fare una critica o sviscerare il film, che poco mi convinse all’epoca e che ha confermato le mie perplessità anche oggi, perché sul Maestro si è scritto tanto, tantissimo, sia sotto forma di saggio che in siti e blog più specializzati e preparati del nostro, nonché sulle principali riviste di settore, nazionali ed internazionali e il mio parere personale nulla andrebbe a togliere o ad aggiungere ad una figura che rimarrà per sempre impressa nella storia del cinema mondiale.
Tra l’altro, a mio modestissimo parere, i primi minuti della pellicola, ambientati agli Uffizi, andrebbero proiettati in ogni scuola di cinema come esempio di pura arte registica. E non solo.
Ne La Sindrome di Stendhal c’è tutto Dario Argento, in ogni ripresa, in ogni passaggio, in ogni scelta visiva. Eppure ho sempre avuto questa strana sensazione per cui il film non avesse più nulla da dire dal momento in cui Asia Argento si taglia i capelli in ospedale, a Firenze, dopo aver subito violenza dall’assassino-stupratore seriale.
Ultimo aggiornamento Martedì 17 Gennaio 2017 23:40
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