La prima cosa che mi ha colpito fin dalle prime righe di Reboot 8092, storia di un viaggio alla ricerca della vita, e per la vita, declinato sotto forma di personale diario di bordo, è stata la scelta di usare il femminile.
Può sembrare una scelta casuale o semplicemente funzionale. Invece a me ha dato l’idea di qualcosa di volutamente ponderato, un modo per rendere più caldo, familiare, rassicurante un racconto che trasmette, in alcuni passaggi, la fredda solitudine dello spazio infinito, reso così meno alienante da una semplice desinenza.
D’altra parte la forma femminile offre un solido approdo, la sensazione di trovarsi come a casa, protetti da una figura materna. Non per nulla, specie in fantascienza, il termine di nave madre è usato con frequenza per descrivere l’ammiraglia di una flotta, che protegge, con la sua forza e il suo affetto, tutti i suoi componenti.
E femminile è anche la AI che ci racconta i suoi continui risvegli, reboot, durante il suo lungo, lunghissimo viaggio. Una AI dai tratti fortemente umani, legata con ardore e tenacia alla sua missione e alla sua necessità di rimanere in vita. Una AI che prova emozioni, fa congetture, si lascia andare a momenti di rabbia e sconforto o di grande felicità, ma che allo stesso tempo sa essere lucida e razionale. Insomma, semplicemente umana.
Ultimo aggiornamento Mercoledì 01 Aprile 2020 10:13
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